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Migrazione e inclusione nell’era della globalizzazione: dinamiche, approcci e nuove prospettive

«Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell’arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità.»

(Zygmunt Bauman)

Negli ultimi decenni i processi di globalizzazione hanno fortemente influenzato i fenomeni migratori. Ma a cosa facciamo riferimento quando parliamo di globalizzazione? Le definizioni e le spiegazioni sono molteplici.

Il dizionario Treccani alla voce globalizzazione riporta: “un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo”. Il sociologo italiano Luciano Gallino parla di una “produzione di globalità”, un processo complesso che vede Stati, organizzazioni internazionali, gruppi di pressione e multinazionali agire simultaneamente e sistematicamente al fine di espandere alla totalità del globo l’economia di mercato, congiuntamente a determinati modelli di organizzazione della produzione, del mercato del lavoro, delle tecnologie, della politica e dei mezzi di comunicazione.

L’ambito migratorio, come si è detto, non è certamente rimasto estraneo a queste dinamiche. L’”inarrestabile processo di globalizzazione”, come affermano i sociologi Zygmunt Bauman e Marc Augé, ha, infatti, alla base proprio il crescente fenomeno migratorio, che rappresenta oggi uno tra i più potenti acceleratori di mutamento sia sociale che economico. L’immigrazione è un fenomeno di primo piano nell’ambito delle trasformazioni sociali contemporanee e sta avendo un peso maggiore oggi rispetto al passato perché non solo coinvolge determinate zone, ma il mondo nel suo complesso: non si parla solo dei migranti ma dell’assetto complessivo della società in cui viviamo, risultato del processo di mondializzazione in atto. Le migrazioni si sono globalizzate, in quanto sono aumentati i Paesi nel mondo coinvolti nel fenomeno; sono, inoltre, molto variegate al loro interno, dato che le tipologie di migranti sono tante, dal rifugiato, al migrante per lavoro, ai familiari ricongiunti. L’aumento quantitativo del fenomeno sta spingendo i governi ad affrontare la questione con urgenza in termini legislativi ma è evidente che questi stentano a trovare una regolamentazione politica adeguata ed efficace.

Tra le conseguenze principali della globalizzazione delle migrazioni vi è sicuramente una maggiore eterogeneità linguistica, etnica, culturale e religiosa con la quale le società di accoglienza devono confrontarsi. Ma non solo. La questione migratoria è complicata perché trasversale e perché coinvolge più ambiti della sfera pubblica e sociale: divenuta ormai strutturale ed endemica alla globalizzazione, è indispensabile gestirla al meglio soprattutto per garantire l’inclusione e l’integrazione sociale. Proprio quest’ultima è un processo multidimensionale e d’interazione: risulta, quindi, necessario uno sforzo per tentare di comprendere in profondità le caratteristiche specifiche delle migrazioni attuali e per progettare, a più livelli, percorsi di integrazione sociale completi.

Diversi studiosi come Wolf R. Böhning, Stephen Castles e Albert Bastenier hanno elaborato modelli teorici molto diversificati riguardo le modalità di inclusione dei migranti nelle società di destinazione. Tuttavia, emerge, a livello generale, che i processi di integrazione hanno sempre per protagonisti due attori: i migranti, che devono sforzarsi di adattarsi al nuovo ambiente, e la società ospitante, che dovrebbe favorire tale processo di adattamento, presupponendo un’interazione continua tra le parti. Un’altra problematica fondamentale da affrontare in questo senso riguarda sicuramente l’acquisizione dei diritti: questa non deve rappresentare tanto un punto di arrivo del percorso di integrazione civile e politica, quanto il punto di partenza obbligato di una più complessa dinamica di partecipazione sociale.

La strategia d’azione ideale, dunque, dovrebbe essere strutturata e declinata in un’ottica globale, in maniera tale da dotare di efficacia decisionale e di strumenti politici (e finanziari) di intervento e controllo reali, quelle organizzazioni che si muovono su un piano sopranazionale.

 

 

 

Fonti e link di approfondimento:

 

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