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Fame di rapporti: isolamento e solitudine tra gli studenti universitari

Dall’11 marzo 2020, data in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato il coronavirus pandemia globale, restare a casa è diventata la ‘norma’: smart working, lavoratori in congedo, studenti in didattica a distanza. 

È certamente difficile oggi avere una visione d’insieme della situazione sociale e psicologica delle/degli studentesse/studenti in questa crisi sanitaria. Per il momento nessuna ricerca su larga scala è stata ancora condotta sull’argomento. Tuttavia, in Italia un primo studio è stato avviato a maggio 2020, dove, subito dopo la fine del primo lockdown, un gruppo di giovani ricercatori di diversi atenei italiani ha diffuso, con la collaborazione del CNSU (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari), un questionario con lo scopo di raccogliere dati e opinioni degli studenti universitari.

Essendo state o essendo ancora studentesse che, attraverso il “Progetto Mentorship” sono in contatto con studenti universitari, anche noi ci siamo chieste come si sentono oggi dopo un anno di chiusura. Nelle nostre interazioni quotidiane è possibile cogliere, attraverso testimonianze delle/degli stesse/i studentesse/studenti, gli effetti di questo periodo storico: isolamento, didattica a distanza, mancanza di risorse finanziarie e legami sociali ridotti.

Non poter accedere alle sedi universitarie per seguire i corsi in presenza con regolarità è stato sicuramente uno degli aspetti più difficili. Ci si è chiesto: cosa possono provare gli studenti che si trovano rinchiusi nel loro piccolo alloggio o nella loro stanza? Nella residenza universitaria lontani da casa e/o dal proprio paese? senza poter incontrare né docenti né le/i loro compagne/i?

Chi vive con i genitori, ha sicuramente la fortuna di poter beneficiare di un sostegno emotivo, ma può provare una sensazione di soffocamento e di un freno al proprio desiderio di autonomia.

Tutti questi vincoli – il rafforzamento dell’isolamento, il confinamento, le restrizioni imposte alla socialità – hanno aggravato le tensioni psicologiche a cui gli studenti possono già essere esposti. Un recente sondaggio Odoxa, condotto su soggetti tra 15-30 anni, mostra che il 34% ha già consultato un medico o uno psicologo per sintomi quali: depressione, isolamento, solitudine, ansia, ecc.. Il 70% degli studenti afferma di aver incontrato difficoltà nel seguire corsi a distanza. Pertanto, nella stessa indagine, l’80% degli studenti dichiara di essere preoccupato per le difficoltà che incontrerà nel completare gli studi. Infine il 72% teme che il proprio diploma valga meno alla fine di questa crisi sanitaria e che questa modalità nella formazione (DAD) possa penalizzarli una volta entrati sul mercato del lavoro.

Teniamo però presente che non tutti gli studenti vivono la stessa situazione nel quotidiano. Le conseguenze psicologico della formazione a distanza possono essere più evidenti tra le matricole, tra coloro che vivono una precarietà finanziaria e per studenti internazionali. Il rischio di isolamento e abbandono scolastico è  maggiore per i soggetti che vivono condizioni di fragilità socio-economiche. 

Infatti, oltre ai problemi di disagio psicologico, vi sono anche quelli di natura materiale: non tutti hanno i mezzi adeguati per poter seguire le lezioni o per proseguire gli studi. In Italia gli studenti sono ancora fortemente sostenuti economicamente dai genitori. Tuttavia, molti non possono usufruire di aiuti familiari e per questo fanno lavori definiti “studenteschi”: nel commerciale, nella ristorazione, o nel babysitting, ecc. Purtroppo questi impieghi sono stati toccati, come molti altri, dalla crisi sanitaria portando alla scomparsa di posti di lavoro. Di conseguenza un gran numero di studenti si è trovato senza stipendio e quindi senza possibilità di pagarsi un alloggio o proseguire gli studi.

Infine, è fondamentale ricordarsi che l’esperienza universitaria non è fatta solo di libri, ma anche di esperienze, incontri, socializzazione ecc. tutti aspetti fondamentali, che sono passati in secondo piano durante la pandemia. Questo perché spesso si pensa che gli studenti universitari, considerati già adulti, siano autonomi e che ormai questi aspetti non siano più così importanti. Questa visione però contribuisce alla loro emarginazione e rafforza il sentimento di solitudine. 

Diventa allora di essenziale importanza non privare questa generazione del diritto allo studio, che implica non solo un sostegno economico adeguato, ma anche psicologico, portando avanti delle politiche più inclusive che restituiscano la voce ai diretti interessati. Oggi, ancora costretti dietro ai nostri schermi, abbiamo la possibilità di sfruttare questo tempo sospeso per avviare una discussione e una pianificazione puntuale e attenta ai diritti degli studenti nel presente e nel futuro. 

 E voi che ci leggete, se siete studentesse/studenti, come avete vissuto la vita universitaria durante i primi mesi della pandemia? Ci piacerebbe leggere le vostre esperienze.

 

Fonti:

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