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SINDROME DA RASSEGNAZIONE: il sonno profondo dei bambini migranti

Avete mai sentito parlare della Resignation Syndrome? Conosciuta anche come Sindrome di Biancaneve? 

 

Questa sindrome, di cui si conosce ancora poco, si presenta con una maggiore incidenza in Svezia (sono stati rilevati anche sporadici casi in altre zone del Nord Europa). Secondo recenti studi tale condizione tende a manifestarsi in bambini dai 7 ai 19 anni appartenenti a nuclei familiari richiedenti asilo.I soggetti colpiti vengono spesso descritti come bambini pieni di vita e di determinazione, fino a quando un giorno cadono in una condizione simile al coma, sebbene continuino a recepire gli stimoli esterni senza però riuscire a rispondervi. 

Questo evento si manifesta silenziosamente: si assiste progressivamente all’isolamento e successivamente le condizioni si aggravano fino a rifiutare persino il nutrimento. 

La sindrome, come precedentemente accennato, è stata osservata principalmente in Svezia tra i richiedenti asilo provenienti dalle cosiddette “source regions”: Armeni, e musulmani provenienti da  Kazakhstan, Kyrgyzstan o Azerbaijan. 

La maggior parte di queste famiglie proviene da contesti a rischio, dove in quanto minoranze sono soggette a discriminazioni, persecuzioni e forti esperienze traumatiche. Per tali famiglie raggiungere un luogo sicuro rappresenta il recupero di una speranza. In Svezia l’esame delle domande di asilo segue una procedura estremamente lenta e non sono rari i casi in cui il rifiuto possa avvenire anche dopo anni. Nell’arco di tempo che intercorre tra la presentazione della domanda ed il suo esito, molti dei bambini presenti all’interno dei nuclei familiari si inseriscono nei nuovi ambienti sociali, imparano la lingua e stringono nuovi legami, ricominciando un nuovo capitolo. Per questo venire a scoprire del respingimento della domanda di asilo provoca la distruzione delle proprie speranze e aspettative.

Per molti bambini  la  reazione iniziale è quella di una grande rabbia e di una intollerabile angoscia, sentimenti legati al pensiero di  dover rinunciare a ciò che si è faticosamente conquistato fino a quel momento e alla consapevolezza di dover tornare alla propria terra natia, un luogo vissuto come traumatico, crudele e inospitale.

Soprattutto per i più piccoli l’angoscia causata da questo verdetto risulta intollerabile, il disappunto delle famiglie, l’incertezza del futuro, il veder sfumare la prospettiva di un contesto sicuro riportano a galla traumi passati e accrescono le preoccupazioni per l’avvenire.

L’unica cura ad oggi riconosciuta per i giovani pazienti che soffrono di Resignation Syndrome, è l’ottenimento di un permesso di asilo, che assicura la possibilità di ricostruirsi una vita stabile con le loro famiglie. Anche in quello stato di profondo sonno i soggetti riescono a elaborare la notizia dell’ottenimento del permesso di asilo percependo l’allontanarsi della tensione, della paura e dell’angoscia da parte dei propri cari, cominciando così il loro lento risveglio in un clima di ritrovata speranza. 

Gli esponenti del governo svedese, soprattutto coloro i quali si fanno portatori degli ideali nazionalisti dell’estrema destra, tendono spesso a scoraggiare la diffusione di informazioni rispetto alla Resignation Syndrome definendola una finzione messa in atto dalle famiglie richiedenti asilo, al fine di prolungare la loro permanenza sul territorio il più possibile.

Tuttavia numerosi psichiatri, psicologi e medici concordano rispetto al fatto che tale condizione non può essere considerata una finzione. Inoltre, stando ad attendibili riscontri medici, è stata sin da subito esclusa anche l’ipotesi che i bambini fossero stati avvelenati delle loro famiglie. 

Un modello utile per spiegare tale sindrome può essere il paradigma delle “learned helplessness” formulato da Seligman. Il celebre psicologo dimostrò come i topi da laboratorio sottoposti numerose volte a un intenso elettroshock, non avendo la possibilità di sfuggire, decidessero di arrendersi al dolore, rimanendo impotenti. Anche di fronte alla possibilità di scappare le cavie rimanevano in uno stato di impotenza, appresa dalle esperienze precedenti. Si potrebbe dire che questo è ciò che accade anche ai bambini che sono colpiti dalla Resignation Syndrome.

Molte domande rimangono aperte in seguito a questi primi studi, ma forse un interrogativo preme più degli altri: come mai tali fenomeni si sono sviluppati prevalentemente in Svezia?

Molti ricercatori ipotizzano l’emersione di una nuova sindrome culturale: ovvero una condizione di disturbo mentale, di breve o lunga durata, fortemente connesso col contesto culturale degli individui che ne sono affetti. 

Secondo la tesi di Karl Sallin, neurologo e pediatra svedese a capo di un gruppo di ricerca sulla Resignation Syndrome, i bambini tenderebbero a interiorizzare i modelli di comportamento  presenti nel paese e relativi alla propria cerchia sociale e culturale. Infatti  in seguito alla diffusione di notizie e informazioni relative alla sindrome su tutto il territorio svedese, si sarebbe diffusa una emulazione collettiva. Ciò spiegherebbe il perchè della particolare espressione geografica del fenomeno e della sua diffusione solo in una determinata cerchia di individui.

Ancora oggi non si è a conoscenza di come prevenire il manifestarsi di questo male, tuttavia vi sono forti ipotesi sulle sue cause e sulle sue modalità di risoluzione.
Risulta sicuramente necessario ricercare le particolarità fisiologiche del fenomeno e come esso vada a strutturarsi a livello somatopsichico, ma al tempo stesso appare opportuno interrogarsi sulla forma di malessere che scatena la Resignation Syndrome. Infatti dovremmo operare importanti riflessioni sul piano politico,in particolar modo rispetto alle modalità di gestione delle problematiche migratorie, le quali spesso ci vedono assumere una sguardo sempre più distaccato e sempre meno umano. 

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